Il governissimo non è un bus

La Nuova Sardegna 15/12/1992

 

Era annunciato un inverno durissimo per la nostra regione. Ci siamo.
Si affloscia, ogni giorno di più, come un castello di carte, il nostro sistema industriale: le ciminiere occupate sono il nuovo look della Sardegna da esportare.
Ma senza grandi emozioni per un’Italia distratta dalle tante emergenze di questo incredibile 92.
La diffusione della crisi delle industrie non ha ancora portato alla ribalta la febbre delle campagne: sarà nel prossimo mese, ma il tenore della rabbia non sarà minore.
Un numero crescente di giovani sardi raggiunge un’età più che adulta senza avere mai lavorato, con conseguenze civili e morali gravissime. Ora comincia a crescere la disoccupazione dei genitori di quei giovani.
E poi ci sono i problemi antichi della Sardegna debole. Ci sono i problemi che derivano dallo specifico della situazione sarda e ci sono quelli — né scarsi, né marginali — che si iscrivono nell’evoluzione nazionale e internazionale dei processi politici ed economici.
E gli uni e gli altri rischiano di sovrastare la nostra fantasia e la nostra capacità di reazione.
La crisi dell’economia si intreccia, in un rapporto che spesso diventa circolare, con un diffuso sentimento di sfiducia dei cittadini verso le istituzioni.
Una sfiducia diversa da quella un po’ innata nei sardi verso la Regola: una sfiducia più acre e meno rassegnata. C’è in giro una gran voglia di novità, che è più stanchezza e insoddisfazione del presente che prefigurazione dell’alternativa. In questo sentimento esiste, certo, un carico di ambiguità – come sempre nella storia dei grandi mutamenti della cultura politica – che occorre decifrare.
Si intrecciano diffuse spinte al cambiamento (che sono tante e tutte visibili) con gli istinti malcelati di conservazione, con una voglia inconfessabile – eppure incoercibile – di tornare indietro.
Si mescolano qualunquismo, separazione, frammentazione sociale e, insieme, desiderio di giustizia, onestà, rigore, efficienza delle istituzioni.
In questo scenario di fine anno bisogna vincere – quando si abbia responsabilità nelle istituzioni – la tentazione di indulgere alla contemplazione della crisi, alla moda dell’amplificazione esclamativa e autoassolutoria.
Non potrà esserci assoluzione per chi ha governato questa fase senza tentare una risposta.
Paradossalmente, oggi la Sardegna ha più bisogno di governo che di opposizione. L’opposizione è già tanta, e cresce, nella società civile.
In fondo in questa considerazione risiede il senso vero e l’ispirazione sincera del nuovo governo regionale.
Archiviati i clamori del toto e dopo assessori, prendono corpo con durezza e spigolosità inusitate i contorni dei problemi veri.
L’evoluzione della politica comunitaria, la revisione della legge per l’intervento straordinario nel Mezzogiorno, il nuovo regionalismo con la rivoluzione copernicana dei poteri, ma anche con la nuova dimensione dell’autonomia impositiva: sono tutte spinte ineludibili per una nuova stagione della politica improntata all’etica della responsabilità.
Si tratterà di smentire i numerosi critici della nuova coalizione che ne hanno osteggiato la formazione considerandola una alleanza difensiva della vecchia e contestata partitocrazia, insidiata dall’esplosione referendaria e da una domanda politica di radicale cambiamento.
Per la nuova giunta regionale e per la grande maggioranza che la sostiene si impone un dovere di energica reazione propositiva, attiva, fattuale.
Dobbiamo ritrovare una dimensione persuasiva del governo, dando ai cittadini non solo la sensazione, ma la prova – in un paragone quotidiano, teso ed esigente, tra i comportamenti e gli impegni dichiarati – che si vuole invertire la rotta della crisi.
E può diventare più Stato verso i cittadini.
Mi pare possa dispiegarsi su questo versante il nostro lavoro nei prossimi mesi. Si dislocheranno su questo terreno i progressisti e i conservatori, la destra e la sinistra, il vecchio e il nuovo. Al di là di vuoti nominalismi.
Ho sentito, ancora recentemente, riecheggiare il logoro vocabolario della politica dì schieramento, la congettura di una alleanza autobus verso improbabili alternative: sono discorsi vecchi, inutili e talvolta dannosi per chi li formula e per la coalizione che li ospita.
La collaborazione-competizione per il consenso che noi abbiamo avviato si vince con altri argomenti.

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