Una scommessa da vincere

Discorso in Consiglio regionale del 20 novembre 1992 Varo seconda giunta Cabras, 20/11/1992

 

Signor Presidente, intervengo per esprimere il favore del Gruppo della Democrazia Cristiana, un favore che non è nelle parole che noi pronunciamo oggi ma nel dibattito che c’è stato, nell’azione e nei comportamenti che abbiamo profuso in questi mesi di trattative che hanno portato alla formazione di questo governo e di questo programma.

Noi esprimiamo un favore per il programma che abbiamo concorso a formare esprimiamo un favore per la compagine nella quale il nostro Gruppo, il nostro partito è presente e visibile con tutta la forza del nostro impegno.
Io ho sentito reiterare anche oggi da diverse parti giudizi, sospetti e diffidenze che sono poi una costante in questa trattativa di governo, circa la visibilità della Democrazia Cristiana in questo esecutivo, una visibilità che preoccupa se è troppa o se è presunta carente.

Io credo che altre debbano essere le preoccupazioni che pesano nella coscienza dei consiglieri regionali nel momento in cui si dà il via a una stagione politica difficile nella quale il partito della Democrazia Cristiana porta tutto intero il peso del proprio impegno e della propria motivazione.
Noi abbiamo proposto, per una scelta motivata, motivata nella precedente riunione del Consiglio regionale, degli esterni al Consiglio regionale che aderiscono ai programmi a ai valori dl nostro Partito, che hanno intero il sostegno e la responsabilità della Democrazia Cristiana. Noi daremo a questa Giunta tutto il sostegno di cui siamo capaci, così come lo abbiamo dato in passato alla Giunta guidata prima dall’onorevole Floris, poi dall’onorevole Cabras. Vi chiediamo colleghi di non preoccuparvi della qualità e della quantità del nostro impegno, colleghi che siete chiamati a dare e a profondere altrettanto impegno, quelli che siete a favore, né credo si debbano preoccupare, come pure è avvenuto, della quantità dell’impegno della Democrazia Cristiana a favore di questa Giunta, quelli che questo impegno non sono chiamati a dare per il ruolo diverso che occupano. Noi interpretiamo in realtà e insieme in sintonia con il nostro Partito un ruolo nuovo e inesplorato di governo in una dimensione istituzionale che non ha precedenti. La scommessa, quella vera che tutti noi giochiamo, forse noi con più risolutezza rispetto ad altri, è nel meccanismo della distinzione delle funzioni di Assessore e di consigliere regionale. Una distinzione tra funzioni politiche, non un dualismo tra tecnici e politici. Pensiamo che gli assessori da noi proposti, facendo ricorso a un serbatoio non piccolo di società civile che noi rappresentiamo e nella quale siamo profondamente ancorati, abbiano talento, esperienze, competenze, che siano idonei a ricoprire la funzione di governo, né più né meno come altri che hanno percorso una strada di impegno politico dentro le istituzioni.

E quindi gli assessori, ai quali noi abbiamo affidato il compito della rappresentanza della Democrazia Cristiana, tutta intera, non di oligarchie vecchie e nuove ma di tutta la Democrazia Cristiana, questi Assessori rappresentano il nostro partito.
E d’altra parte gli assessori da oggi sono tutti esterni: e qui sta il problema, qui sta la scommessa. Conterà per vincere lo spirito cori cui assessori e consiglieri regionali sapranno interpretare il nuovo ruolo.

Vinceremo questa scommessa se il Consiglio regionale avrà nei confronti dell’esecutivo, della Giunta, degli Assessori un atteggiamento positivo, dialettico, ma non contrapposto, esigente e diligente, ma non sufficiente e presuntuoso, come forse potrebbe avvenire. Noi vinceremo questa scommessa se saremo capaci di una coerenza sincera nella distinzione tra il ruolo di governo, dell’amministrazione e quello di elaborazione politica, di formazione delle leggi, degli indirizzi, nel ruolo che sapremo interpretare di raccolta dei segnali che vengono dalla società civile. Noi, noi assemblea più importante del popolo sardo, non gli Assessori, ma noi consiglieri regionali avremo il compito di tradurre in un progetto la domanda sociale, di portare dentro le istituzioni i segnali forti della società civile e di suggerire poi e di indicare poi all’esecutivo i binari all’interno dei quali è possibile esercitare la difficile funzione di governo. Questa è la scommessa vera, la prima scommessa vera che noi dovremmo vincere.

Noi esprimiamo il nostro favore perché abbiamo concorso a generare questo governo e questo programma in libertà e con convinzione, per una scelta che affonda le sue radici non in ragioni di convenienza, ma in ragioni di fiducia sincera nei confronti di un progetto politico che ha presunzione di andare al di là di una piccola congiuntura.
Certo il dibattito non è stato monotono. Si è fatto notare che da parte dei consiglieri, di tutti i gruppi della maggioranza, della nuova maggioranza, si sono verificate sottolineature diverse, distinzio¬ni, angolature, sensibilità differenti. Io credo che in questo ci sia la prova più evidente del senso che avrà, che deve avere questa esperienza politica. Non di consociazione, non di omologazione in un’offerta di governo difensiva e conservatrice come qualcuno ha voluto intendere, ma come uno sforzo di comprensione più forte dei bisogni di novità che sono nella società civile, quelli che richiamava con passione Gabriele Satta, verso il quale io devo esprimere la mia stima e il mio rispetto, perché ha colto come noi abbiamo colto quale sia il senso vero di questa esperienza che è nel segno di una competizione – collaborazione.

Competizione perché pensiamo che la competizione dovrà verificarsi, non già sulle rendite che ancora ho sentito evocare di un passato che non può ripetersi perché il passato appartiene a una fase del nostro sistema politico che si conclude, che non si può rievocare come i fantasmi di una cosa desiderata e oggi impossibile.
Credo che dovremo misurarci tutti insieme in una competizione-collaborazione intorno ai contenuti della nostra politica. E questa differenza di sensibilità che è emersa rappresenta compiutamente la nostra partecipazione ad una inquietudine che attraversa la società italiana, che rende incerta qualunque prospettiva della politica del nostro Paese. Il dibattito di questi giorni riflette in misura sorprendente le incertezze e le contraddizioni del dibattito che vive il Parlamento nazionale, che si verificano nella Commissione bicamerale, che i partiti e l’insieme della società politica italiana oggi vivono.

In questa fase di straordinaria transizione da un sistema politico che è stato verso un nuovo che ha contorni sfumati si intrecciano schemi, assunti, lessico del vecchio e insieme ambizioni e sogni del nuovo.
Io ho colto la riproposizione dello schema della sinistra e della destra, del progresso e della conservazione declinati con accenti, non solo diversi, ma spesso contraddittori all’interno delle stesse compagini.
Sono convinto che questo appartenga al vecchio, che il nuovo dobbiamo ancora scriverlo ed è un compito rispetto al quale credo nessuno oggi possa dire di avere una visione di preveggente lucidità, ci muoviamo con la forza di una consapevolezza che ci deriva dalla rappresentanza della società sarda che noi abbiamo e, insieme, con il sentimento che di fronte al nuovo sono necessari atti di coraggio.

Questi mesi che abbiamo attraversato sono stati lunghissimi, sono stati, come diceva Testori in un editoriale ieri sul Corriere della Sera, anni rispetto alle tradizioni della nostra esperienza politica. In Italia e in Sardegna abbiamo vissuto una serie di trasformazioni del sistema politico rispetto al quale ancora non ci è interamente chiaro il percorso compiuto, neanche quello compiuto in quest’Aula. Un percorso forse non sempre lineare, ma d’altra parte le novità non seguono sempre linee assolutamente rette e si portano dietro spesso un carico di ambiguità che vanno poi decifrate. Ma credo che in questi mesi, noi tutti, abbiamo percorso una strada di novità che tanto più contano se si pensa che in Sardegna per troppo tempo, per un lungo tempo, ai mutamenti delle coordinate della geopolitica, dell’economia, delle coordinate etico culturali del mondo non è corrisposto da parte di tutti noi un impegno di ripensamento e di nuova elaborazione, perché la nostra autonomia in larga misura si è consumata, si è quasi esaurita nella mediazione di corto respiro, nella gestione del quotidiano, di un quotidiano fatto di emergenze, di omologazione a modelli estranei ai fondamenti culturali e storici della nostra esperienza.
Da domani noi dovremo misurarci con le emergenze della Sardegna, dovremo misurarci sul terreno inesplorato nel quale tutti noi possiamo arretrare o avanzare nella competizione per il consenso.

Ma nessuno di noi avrà rendite scontate, sarà la coerenza fra i nostri comportamenti e l’aspirazione dichiarata: sarà il contenuto della nostra politica il parametro vincente sul quale misurare la nostra dislocazione per il progresso e per la conservazione, per gli in¬teressi forti e garantiti o per la nuova domanda di solidarietà che esiste in una parte sempre crescente dei sardi.
Sarà il contenuto della nostra politica a dislocarsi nel senso della difesa vera dei valori della nostra autonomia.
Saranno le prossime settimane, i prossimi cento giorni a decidere nel percorso difficile del bilancio, delle riforme, della vertenza dura, durissima, per difendere il nostro sistema industriale, nell’approccio che sapremo dare sui temi dell’agricoltura, per il riequilibrio del territorio, per l’approvazione di piani paesistici che siano coerenti con l’aspirazione che abbiamo trasferito nella legge 45.

Su questi temi si giocherà la scommessa.
Noi, signor Presidente, ci sentiamo impegnati a vincere questa sfida.

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