(Di Jaime D’alessandro, La Repubblica, 5 giugno 2020)
“Sono tre anni che io sostengo: abbiamo un problema con la Cina. Nell’economia digitale l’asimmetria è semplicemente spaventosa”. Antonello Soro, garante italiano per la Privacy, parte dal bicchiere mezzo vuoto. La decisione del Comitato europeo perla Protezione dei Dati (Edpb) di dargli ascolto e istituire una commissione che indaghi sul social network cinese TikTok sembra un passo troppo timido. Con 800 milioni di utenti attivi, è il primo grande social network nato a Pechino a riuscire a fare breccia in Occidente. Il problema? Che non abbiamo idea di cosa accada ai dati raccolti. “TikTok ha avuto uno sviluppo molto veloce”, continua Soro. “Sono centinaia di milioni gli europei che la usano. Un pubblico prevalentemente di minori. Il mercato particolare dei giovanissimi li espone al pericolo di messaggi e contenuti poco adatti se non del tutto vietati. Ma essendo una azienda cinese abbiamo armi spuntate a disposizione”.
Cosa farà ora la task-force europea?
Inizierà dalla raccolta di informazioni che, a mio parere, non potrà essere disgiunta da azioni per sanare l’asimmetria della quale parlavo prima.
Ci vorranno mesi. Non le sembra che le istituzioni siano un po’ lente?
Forse. Le autorità europee che lavorano sul tema dei dati sono piccole e con compiti immani. Non è maturata la percezione di quanto il mondo digitale produca ricchezza e colossi che sono ormai più potenti degli Stati. E non è chiaro a tutti che le regole in quel frangente sono essenziali per far funzionare la società di oggi.
In attesa che si arrivi ad un’azione concreta, se nel frattempo un adolescente venisse spinto a fare qualcosa di sgradevole?
Si potrebbe intervenire, almeno qui da noi, se si trattasse di un cittadino europeo. L’approccio di TikTok è collaborativo.
Ci sono stati casi del genere?
Ci sono state segnalazioni come avviene per altri social network, nulla di più. Ma non abbiamo idea di cosa succede dietro le quinte. Con tutte quelle informazioni sui comportamenti di chi ha fra i 10 ai 15 anni si possono fare mille cose in un Paese come la Cina che non ha certo le nostre restrizioni. Si possono ad esempio creare algoritmi, profilare gli utenti, sapere esattamente cosa fanno. Li si può influenzare. Parliamo in più di una nazione che ha già un mercato interno enorme dove si raccolgono informazioni su tutto e su tutti e le sue aziende sono permeabili al Governo. Un vantaggio strategico nell’economia digitale. Il mercato è lo stesso, ma si gioca con regole differenti.
Il nuovo amministratore delegato di TikTok, Kevin Mayer, è americano.
Ma l’azienda è di proprietà cinese. Non sarebbe un problema se avessimo con Pechino il medesimo accordo, il Privacy shield, che abbiamo con Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia fra gli altri. Impegna le aziende estere a rispettare certe regole quando si tratta di utenti europei. Con il Giappone è stato bloccato l’Ape, la più grande zona di libero scambio del mondo, finché non è stato sottoscritto il Privacy shield. Ma sarà difficile imporlo alla Cina.
Perché?
Uno dei punti cardine è che l’accesso delle agenzie governative ai dati sia fortemente limitato. È un tema molto più grande di TikTok. Bisogna evitare che la Cina sia una zona franca.
Insomma, il bicchiere è ancora mezzo vuoto.
Diciamo che la task-force è un primo passo. E da qualche parte bisognava pur iniziare.