Sotto il tavolo dei volenterosi

12 ottobre 2006

 

Sarà perché ho un’idea della politica che esalta la coerenza tra forma e contenuto. Sarà perché considero la sfida di governo, nella quale siamo impegnati, un’occasione irripetibile per rimettere in marcia l’Italia.

Sarà perché ho la consapevolezza dei limiti della coalizione larga e composita su cui viaggerà questa nostra avventura. Sarà perché ho qualche esperienza della complessità del lavoro parlamentare ma io il tavolo dei volenterosi non lo capisco proprio.

Senza enfatizzare, però neanche sottovalutare gli effetti che possono derivare dall’improvvisazione di atti compiuti con le migliori e più innocenti intenzioni.

Nelle democrazie consolidate esiste un vasto campo di lavoro parlamentare che si ispira al metodo bipartisan.

Penso certamente alle questioni che attengono alle regole: da quelle costituzionali a quelle elettorali, fino a quelle che disciplinano l’equilibrio tra i poteri dello Stato. Ma penso anche alle decisioni che definiscono l’impostazione di fondo della presenza internazionale del paese.

In queste materie è necessario che la maggioranza sappia recepire al suo interno una posizione condivisa, così come si può affermare che in qualsiasi campo il confronto parlamentare deve essere ispirato alla massima attenzione, disponibilità e capacità di ascolto e di interlocuzione per favorire un esito di più generale consenso.

La manovra economica contenuta nella legge finanziaria, e particolarmente la prima manovra di legislatura, costituisce, tuttavia, l’atto politico più impegnativo di un governo e della maggioranza che lo sostiene.

Identifica, cioè, in modo esplicito e non equivocabile, la volontà e la capacità di trasformare in legge, provvedimenti e cifre sonanti il programma presentato agli elettori. Non basta. Essa misura anche la coerenza di una classe politica impegnata nella complessa e affascinante sfida del governo del paese.

Per questo penso che faccia parte di un costume di buona politica separare responsabilità e funzioni in modo chiaro e trasparente. Una democrazia fondata sull’alternanza in uno schema bipolare risponde al principio esaltato da Roberto Ruffilli del cittadino­-arbitro: ovvero quello secondo cui il cittadino ha il diritto di pretendere un’assunzione di responsabilità che non lascia spazio per l’equivoco e che non offra pretesti per il giudizio qualunquistico secondo il quale “così fan tutti”.

Il nostro modello non è quello di un «bipolarismo muscolare», secondo la definizione che spesso ne dà Bruno Tabacci, o di un gioco a somma zero tra le opzioni che sono in campo; ma quello di una democrazia governante, capace di coniugare efficienza e partecipazione nel segno della trasparenza.

In questo quadro le iniziative trasversali, i tavoli di volenterosi estensori di emendamenti bipartisan non accrescono la ricchezza del confronto parlamentare. Lo spostano, piuttosto, su un terreno che, nella migliore delle ipotesi, è sterile o, come ha efficacemente detto Ermete Realacci, assomiglia a un gioco di società che non porta da nessuna parte.

La prima Finanziaria approvata dal governo Prodi ­ da un governo di cui rivendichiamo con orgoglio la responsabilità ­ ha avviato un processo di trasformazione del paese nel segno del risanamento, dell’equità e dello sviluppo.

Si può e si deve migliorare, certo. E il dibattito parlamentare è lo strumento per affinarla nei suoi obiettivi, senza toccarne i saldi finali. Tanto dobbiamo all’azione di risanamento dei conti pubblici che non solo l’Europa, ma anche le giovani generazioni ci chiedono.

Ci riconosciamo, dunque, in una manovra che riduce, con un intervento senza precedenti, le tasse sul lavoro e sull’impresa. Che sostiene la famiglia, in coerenza con gli indirizzi che la Margherita, nelle sue due edizioni del Big Talk di Torino e di Milano, aveva indicato come strategici per fare fronte alle profonde trasformazioni in corso, demografiche e socioeconomiche. Che ridistribuisce
il reddito, favorendo maggiori opportunità per i più svantaggiati. Che disegna un Mezzogiorno protagonista, non più serbatoio di finanziamenti a fondo perduto, ma volano per lo sviluppo dell’intero paese. Che combatte l’evasione e il male oscuro del sommerso che frena e droga la nostra economia. Che riduce gli sprechi della pubblica amministrazione, e lo fa in modo strutturale, non con provvedimenti spot o tampone. Che punta decisamente sull’innovazione economica e sulla valorizzazione delle eccellenze e del talento italiano.

In questo senso abbiamo indicato tre aree di intervento per il pit stop parlamentare della manovra: il suo sostanziale riequilibrio in favore di comuni e province, secondo un principio di sussidiarietà che difendiamo con convinzione; maggiori garanzie per le piccole imprese, che sono la spina dorsale del nostro sistema economico, sul TFR; eliminare l’imposta di registro su donazioni e successioni, perché nessuno possa dire che ci troviamo di fronte a una partita di giro in cui ciò che si toglie con una mano viene reintrodotto dall’altra.

Come l’atteggiamento di apertura e disponibilità tenuto dal governo dimostra, il miglioramento è in corso e troverei azzardato sostenere che questo sia il frutto del tavolo dei volenterosi.

Un tavolo in cui è presente, tra gli altri, il coordinatore nazionale di Forza Italia, e cioè del partito il cui leader Silvio Berlusconi invoca quotidianamente il ricorso alla piazza per dare la “spallata decisiva” all’esecutivo.

Oppure Gianni Alemanno, il numero due di quel Gianfranco Fini che al «Corriere della Sera» si è ieri dichiarato favorevole alla riunione dei volenterosi per «evidenziare le contraddizioni» della maggioranza.

Il confronto si faccia, e si faccia in Parlamento, dunque, secondo le regole e gli strumenti che il nostro ordinamento ci mette a disposizione.

È questa la via maestra di una democrazia decidente, responsabile e trasparente. Che si costruisce con pazienza e tenacia, e non si trova sotto un tavolo.

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