Troppe derive mediatiche. No alle giurie collettive che decidono il colpevole

(di Viviana Daloiso, Avvenire, 23 gennaio 2018)

 

Basterà che siano pubblicate le iniziali di un nome, oggi, su qualche pagina di giornale. In un contesto piuttosto piccolo, come quello delle campagne tra Cassino e Roccasecca, sfondo della storia terribile del presunto padre “orco” e di sua figlia, tutti sapranno tutto. “E questa tragedia enorme di una minore, di una famiglia, che per la cronaca durerà lo spazio d’una settimana, per loro diventerà infinita”. Quelle iniziali il presidente dell’Autorità garante per la Privacy, Antonello Soro, le vede già scolpite sulla carta. E, peggio ancora, in Rete. Dove i nomi, e le storie, “si trasformano in memoria pubblica”. Restano per sempre.

Presidente, una vicenda terribile con un esito agghiacciante: i presunti abusi di un padre su una figlia, il suicidio dell’uomo. E non è senz’altro una coincidenza che il gesto di quest’ultimo sia stato compiuto all’indomani della pubblicazione sui giornali di tutta la storia. Che ne pensa?

Mi preme prima di tutto focalizzare l’attenzione sulla piccola vittima di questo incubo, una ragazzina di 14 anni violata nell’intimità della sua persona. È senz’altro giusto il racconto dell’umanità degradata, delle aree di opacità della nostra società, dei ritardi di sensibilità che permettono e hanno permesso avvenimenti come questo. Ma ormai da anni siamo innanzi a una deriva mediatica e a una distorsione della sensibilità collettiva che dai media esige sempre di più: vuole, questo pubblico, lo spettacolo del dolore ed ecco che le testate – tutte, nessuna esclusa – sono pronte a gettare in pasto all’audience particolari il più possibile dettagliati e morbosi.

Ha in mente qualcosa in particolare, di questa o di altre vicende?

Potrei farle l’esempio di ciò che è avvenuto rispetto alla famosa vicenda delle ragazze vittime di prostituzione minorile dei Parioli, ma già in queste ore abbiamo visto il micidiale meccanismo innescarsi con le solite, irresponsabili modalità: ci viene detto tutto sui protagonisti della storia, sul loro mestiere, su dove abitano, nel caso della minore di Cassino sulla scuola che frequenta, persino sulla classe. In questo modo identificare la vittima diventa facilissimo, a discapito di tutte le regole deontologiche che invece imporrebbero di tutelare e proteggere l’identità dei minori in particolare.

Si sceglie di accontentare il pubblico…

E si sbaglia. Anche ieri ci siamo trovati costretti a richiamare tutti i media sull’importanza di tutelare la privacy di questa ragazzina, della sua famiglia. Non vorremmo farlo sempre.

Il web amplifica questa corsa al dettaglio mancante, al particolare scabroso.

Certamente, e innesca un sistema irreversibile di effetti collaterali per la vittima: stigma, vergogna, paura, pregiudizio.

Ma la corsa è partita…

E tutti sono pronti a rispondere alla domanda insana dello spettacolo della sofferenza, alla pornografia del dolore che tutto vuole vedere, sapere, persino giudicare.

Già, perché a proposito di giudizio, quest’uomo non era stato ancora condannato per le violenze di cui era accusato da sua figlia.

Un altro aspetto di queste vicende a cui purtroppo siamo abituati: il pubblico che i media cercano di accontentare è infatti anche una grande giuria collettiva, che non vede l’ora di dichiarare un colpevole. E così – non importa se ancora ci siano solo accuse o se, come nel caso di Cassino, sia già stata decisa una prima misura cautelare – il processo mediatico si è già scatenato e concluso con una sentenza di condanna inappellabile.

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