Ma serve attenzione siamo noi stessi a condividere i nostri dati sensibili

II Garante per la privacy, Antonello Soro: “Più che i giganti del web, il problema sono i piccoli, inaffidabili e poco trasparenti”
Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Jaime D’Alessandro, La Repubblica, 3 ottobre 2016)

Antonello Soro, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali dal 2012, non si scompone. Anzi. Google Trips è solo l’ultimo capitolo di una storia che lui conosce a menadito. “Google ha oltre settanta servizi diversi, da YouTube a Google Trips. Raccolgono dati e li incrociano fra loro. Di fatto sanno molto, tutto, di quel che facciamo. Chiedono però sempre il consenso quando accedono alle mail o al gps, da questo punto di vista sono trasparenti, o almeno lo sono più di tanti altri”.

Consenso che poi nessuno gli revoca.

“Lo fanno in pochi. Però dopo la sollecitazione ricevuta dal nostro ente, Google ha adottato standard migliori. Sono stati chiari fin dall’inizio: abbiamo molti servizi, siamo come una banca che ai suoi clienti può proporre un’assicurazione come un conto corrente. E come una banca uniamo i dati per dare servizi migliori”.

Margo Seltzer, docente di Harvard, sostiene che è meglio rinunciare all’idea di privacy. Perché di fatto è morta.

“Il primo ad aver detto che la privacy non c’è più è stato Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook. Però lui a casa sua ha una muraglia per proteggere la sua privacy. E Whatsapp (di proprietà di Facebook, ndr) guarda caso ora protegge i messaggi fra le persone con la crittografia. La privacy del ‘900 non c’è più, ma la riservatezza è ancora un diritto”.

Sulla carta, almeno.

“Google Trips cinque anni fa era inimmaginabile. Fra intelligenza  artificiale, apprendimento delle macchine e big data, la sorveglianza è un problema di questa società. I  cittadini devono prestarci attenzione.”

Peccato non lo faccia praticamente nessuno.

“Lo so. Il baratto fra servizi gratuiti in cambio di dati personali funziona. O funzionerà finché la sorveglianza non inizierà a produrre disagio. Ma almeno gli attori di primo piano come Google, Amazon, Apple, Facebook e Microsoft, nell’ultimo periodo hanno dimostrato più attenzione per la privacy. Hanno capito che è un elemento chiave del rapporto con il pubblico. Sono di un altro mondo rispetto alla media che regna nel mare magnum delle app dove è di cas a l’improvvisazione, i tentativi al limite della truffa. Apple e Google, come gestori degli app store, pongono delle barriere all’entrata. Potrebbero essere più efficaci? Sì, ma intanto ci sono. Nel mercato delle app mediche ad esempio c’è anarchia totale, con dati molto sensibili che vengono venduti all’insaputa del paziente».

E voi che cosa fate

“Combattiamo con le armi che abbiamo. Ci sono quattro milioni di app e il nostro ente ha solo 130 dipendenti. E non è una notizia dell’ultima ora”.

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