Servono leggi universali sul web. Il Garante: oggi comandano i colossi

Privacy, interviene Soro: “E’ un’anomalia, i Paesi trovino l’intesa”
Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Silvia Mastrantonio, Quotidiano Nazionale, 30 marzo 2016)

 

“Il rifiuto di Facebook è davvero strano perché, anche in tempi recenti, l’azienda ha dimostrato di voler collaborare, soprattutto in presenza di contenuti di istigazione all’odio. È certo che se il colosso di Cupertino non ha ottemperato a un provvedimento del magistrato questi può procedere con una rogatoria internazionale. Resta, tuttavia, l’anomalia di fondo: la Rete agisce a livello globale, gli ordinamenti restano costretti nei loro ambiti nazionali”. Il presidente dell’Autorità Garante per la Privacy, Antonello Soro, esamina la vicenda che ha come protagonista la nostra collega, Benedetta Salsi. “C’è un eccesso di disomogeneità in questo campo. Spesso si deve sottostare alla disponibilità dei singoli gestori mentre, invece, ci sarebbe bisogno di una legislazione armonizzata tra i diversi Paesi per affrontare i fenomeni propri del mondo digitale”.

La Rete è considerata il regno della libertà…

“Ma i cittadini, secondo la Risoluzione dell’Onu, hanno il diritto di godere on line degli stessi diritti che hanno offline”.

Solo parlare di regole sembra inconciliabile con Internet.

“Per adesso, ci si deve accontentare della disponibilità dei colossi della Rete ma sarebbe nel loro stesso interesse adeguarsi a un insieme di norme armonizzate anticipando quelle che, inevitabilmente, i Paesi dovranno adottare. Così come è avvenuto con il diritto all’oblio che Google ha accettato”.

Facebook giustifica il rifiuto a cancellare quelle pagine evitando il discorso del terrorismo e fermandosi alla diffamazione.

“Non è questo che fa la differenza. A volersi nascondere dietro aspetti formali non ci si ricava nulla. Mi spiace che Facebook non abbia colto l’opportunità di dare un’indicazione di tendenza importante. Credo sia stato un errore, soprattutto nell’ambito della sicurezza che rappresenta un  argomento sensibile per i cittadini e sul quale l’Europa ha dimostrato, ancora una volta, di non aver abbattuto alcuna barriera”.

E nel mondo virtuale?

“Gli imperi del web hanno il dovere di garantire la sicurezza. Tanto più alla luce dei fatti. Penso alla vicenda Apple-Fbi. Apple ha avuto una posizione strumentale che poi è stata superata da Fbi. E si è dimostrato che aprire un singolo telefonino non significa aprire varchi in quelli di tutti gli altri. Che aprire la cassaforte di cui si possiede la chiave, non significa metterle a rischio tutte”.

Che cosa conta di più, in questi tempi, la privacy o la sicurezza?

“La privacy è un diritto delle persone, esattamente come lo è la sicurezza. Entrambi questi diritti hanno un rango di tutela altissimo; nessuno, singolarmente, ha più peso degli altri. Anche perché se, per la sicurezza, viene compressa la privacy non è detto che questo porti ai risultati sperati”.

A che cosa si riferisce?

“Penso agli esperimenti americani di raccolta dati a tappeto sulle comunicazioni dei cittadini. Una raccolta enorme, la più estesa del mondo che, però, non ha portato i risultati voluti perchè è più estesa e più difficile da analizzare”.

Come coniugare i due diritti?

“Ci vuole un punto di equilibrio. La privacy va compressa per la sicurezza in modo ragionevole, secondo criteri di proporzionalità. Proprio l’esperienza americana dimostra che contano di più un’indagine selettiva e mirata, la cooperazione tra le diverse forze in campo, la collaborazione che non la raccolta indiscriminata di un volume gigantesco di dati difficile da analizzare”.

Facebook ha sbagliato a ignorare l’ordine del magistrato?

“Ha sbagliato e mi auguro che ci ripensi evitando l’attivazione di una rogatoria internazionale. E anche nel suo interesse giungere alla soluzione del problema per conservare la fiducia degli utenti”.

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