Oblio e memoria del web, un conflitto fra diritti

La conoscenza, il passato, la storia di ciascuno, restano permanenti a sfidare il tempo e la materialità: impedendo alle informazioni di scomparire, alla memoria di dissolversi e, mancando il processo catartico del dimenticare, agli individui di “alleggerirsi” del passato. Un diritto che la corte di giustizia europea ha riconosciuto. Ora resta da garantire quello all’informazione. Antonello Soro: “Rendere omogenee le decisioni”
(La Repubblica, 17 dicembre 2014 – di Antonio Rossano)

La vita Facebook di una persona continua a vivere anche dopo la sua morte. Nel 2050 Facebook sarà il più grande cimitero del mondo, gli account dei morti saranno forse un terzo di quelli dei vivi. Nell’era di Internet due elementi hanno cambiato la vita delle persone: velocità e permanenza. Non più code in banca o alla posta: è tutto lì, a portata di mano, sul nostro personal computer. Un pagamento è ridotto ai gesti necessari per aprire una pagina e digitare alcune informazioni, a volte è possibile farlo anche dal proprio smartphone. Contemporaneamente le informazioni che condividiamo attraverso la rete non sono più soggette alla corruzione della materia e della memoria: il giornale di carta che conteneva la notizia del giorno, a poche ore dalla sua lettura perdeva la funzione informativa e diveniva carta straccia; ora la conoscenza, il passato, la storia di ciascuno, restano. Aggregati impalpabili di elettroni, nella loro codifica numerica, giacciono nei server delle grandi webfarms impedendo alle informazioni di scomparire, alla memoria di dissolversi e, mancando il processo catartico del dimenticare, agli individui di “alleggerirsi” del passato. Questa permanenza pone problemi concreti, diversi e di non semplice soluzione. Una di queste problematiche riguarda il diritto di “dimenticare”. Un esempio? La reintegrazione dell’individuo nella società: la società che definisce le sue regole, ne definisce anche le sanzioni che, dai tempi di Cesare Beccaria, assumono il significato della rieducazione e reintegrazione sociale sostituendosi al medioevale concetto di punizione.

Questa reintegrazione sociale richiede che un individuo venga liberato dal peso dei reati che ha commesso, una volta che ne abbia pagata la giusta sanzione, attraverso l’oblio. Una cultura evoluta implicherebbe la capacità e gli strumenti tecnologici adatti a “contestualizzare” le informazioni: riuscire a collocarle in uno specifico intervallo temporale, definire se gli avvenimenti descritti in quel contesto hanno o meno effetto sul presente, se essi sono terminati e se quell’informazione è ancora di interesse per il pubblico. Ma non è questo il caso: purtroppo ancora nel 2014, se da un lato la sanzione per un reato penale equivale ancora a un marchio impresso col fuoco sulla pelle del condannato, dall’altro non esistono strumenti tecnologici per contestualizzare massivamente e a basso costo le informazioni. Ma quello della reintegrazione è forse solo il più evidente dei casi in cui il diritto alla privacy di un individuo confligge con la permanenza della memoria.

L’oblio. Proprio per questo i legislatori europei, di fronte ad una tecnologia che non dimentica, si sono posti il problema di fare in modo che, quello che viene definito “diritto all’oblio” possa essere applicato, di fatto, alleggerendo un individuo dalla permanenza degli errori del passato o da informazioni non più rilevanti per la società. In che modo? Con una legge. La legge in questione è in realtà una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 13 maggio scorso, denominata “Costeja” dal nome della persona oggetto della stessa. Nella sentenza, fondata sulla direttiva europea 95/46 che disciplina la privacy per i paesi membri dell’Unione, la Corte riconosce che i motori di ricerca sono i “responsabili del trattamento” dei dati da loro indicizzati e, quindi, impone al motore di ricerca (in quel caso Google) la de-indicizzazione dei risultati per le ricerche associate al nominativo cui viene riconosciuto il diritto all’oblio.

Scontro tra diritti. Ma il diritto all’oblio confligge con un altro importante diritto dell’individuo: il diritto all’informazione e alla libertà di espressione. Se un reato o una notizia sono considerati di interesse per la società e per la completezza dell’informazione, i cittadini hanno diritto a che quella notizia resti disponibile. Il conflitto viene risolto dalla Corte equilibrando i due diritti, sulla base di quanto già disposto dalla direttiva sulla privacy. In ogni caso e contrariamente a quanto è stato impropriamente in molte sedi riportato nessun dato viene cancellato o rimosso dai server e, soprattutto, dai risultati delle ricerche. Ovvero verranno solo oscurati i risultati delle ricerche fatte in base al nominativo della persona cui è stato riconosciuto il diritto all’oblio, ma non i risultati, pertinenti lo stesso argomento, relativi ad altre chiavi di ricerca. La sentenza della Corte ha tuttavia nell’immediato creato un “vuoto normativo” o, se vogliamo applicativo, non essendovi in essa elementi utili per codificare i criteri di applicazione: chi e secondo quali regole poteva richiedere l’applicazione del diritto all’oblio. La Corte ha di fatto demandato al motore di ricerca l’interpretazione dei casi e le relative decisioni (per richiedere la de-indicizzazione di informazioni dal motore di ricerca Google, è necessario compilare l’apposito modulo online, corredandolo di copia del documento di identità). Google, evidentemente impreparato, ha istituito lo scorso maggio un “Consiglio dei saggi”, un pool di esperti che, attraverso una serie di incontri pubblici nelle principali capitali europee, ha tentato di definire criteri e regole per l’applicazione della sentenza Costeja: a giorni è atteso il report finale.

Nel frattempo il gruppo di lavoro dell’Unione europea, costituito sulla base dell’art 29 della direttiva europea sulla privacy, formato dai garanti dei paesi membri, ha tenuto una serie di riunioni e rilasciato nei giorni scorsi le linee guida per l’applicazione della sentenza Costeja. Ne abbiamo parlato con il Garante italiano per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, membro del gruppo dei garanti.

Esiste un conflitto tra  due fondamentali diritti dell’individuo: il diritto all’informazione ed il diritto alla privacy ed in questo caso, il diritto all’oblio. Come la vede il Garante ?

“La sentenza della Corte di Giustizia ha tentato di individuare un giusto equilibrio tra l’interesse a reperire facilmente informazioni in rete ed il diritto all’oblio degli utenti. Per tale ragione è stata prevista soltanto la possibilità di ottenere la rimozione di un link che veicola l’informazione ove associato ad un nominativo, con la conseguenza che la notizia continuerà ad essere reperibile ed accessibile  utilizzando, ad esempio, altre chiavi di ricerca. La tutela dell’oblio, lungi dall’essere una questione puramente culturale, impedisce a soggetti privati quali i motori di ricerca, che perseguono interessi puramente economici, di avere il potere di fornire una rappresentazione distorta della personalità e dell’identità degli utenti”.

Il gruppo di lavoro dei garanti europei ha prodotto un documento che dovrebbe meglio spiegare l’ambito di applicazione ed il funzionamento della sentenza CosteJa.  Quali i risultati?

“Le Autorità stanno elaborando criteri comuni (sulla base dei casi specifici sottoposti alla loro attenzione) allo scopo di condividere e, soprattutto, rendere omogenee le decisioni. L’obiettivo è quello di condizionare nel tempo anche le valutazioni che i motori di ricerca saranno tenuti ad effettuare. Le linee guida adottate lo scorso 26 novembre 2014 hanno, tra gli altri, l’obiettivo di precisare l’interpretazione delle Autorità rispetto ad alcune pratiche applicative adottate dai motore di ricerca all’indomani della  sentenza. In linea generale, ad esempio, non si è ritenuta condivisibile la notifica  agli editori dell’avvenuta deindicizzazione”.

Alcuni di coloro a cui sono state rifiutate le de-indicizzazioni da Google hanno fatto ricorso al Garante: si sa già quanti, di che tipologie?

“Sono già pervenute al Garante le prime segnalazioni. Nella maggior parte dei casi, riguardano articoli che contengono notizie di persone comuni relative a vicende processuali ancora recenti e non concluse. Il mancato accoglimento delle istanze degli utenti è stato quasi sempre condiviso dal Garante: non si è ad esempio riconosciuta la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del diritto all’oblio quando per la vicenda processuale segnalata  – e non contestata nella sua veridicità – non erano stati ancora espletati tutti i gradi di giudizio”.

In caso di difformità tra il parere del Garante e Google, Google è tenuto ad applicare le disposizioni del Garante?

“In sede europea, Google si è dichiarato disponibile a conformarsi alle decisioni prese dalle Autorità e sinceramente non abbiamo motivo per ritenere che non si atterrà alle nostre disposizioni avendo fin da subito dimostrato di voler cooperare su questo tema delicato. Paradossalmente il rischio è, al contrario, quello che Google possa cominciare a rigettare tutte le richieste di deindicizzazione proprio per rimettere alle Autorità valutazioni più approfondite nel merito”.

Le recenti linee guida richiedono la de-indicizzazione anche dai siti “extra-europei” dei motori di ricerca. Come farete capire a Google che deve de-indicizzare anche oltreoceano?

“Le de-indicizzazioni devono essere attuate in modo da garantire l’effettiva e completa tutela dei diritti degli interessati. Limitarle ai soli domini UE, sulla base del fatto che gli utenti tendono ad accedere i motori di ricerca attraverso i domini nazionali, non è sufficiente. Ritengo però che la vera sfida sia quella di evitare posizioni di forza e contrapposte quanto piuttosto tentare di ricercare un dialogo costruttivo (che per ora è avviato) con i motori di ricerca, al fine di convergere su soluzioni soddisfacenti e conformi al diritto europeo. Condizione indispensabile per far evolvere la società dell’informazione nel rispetto di diritti fondamentali”.

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