“Intercettazioni, non basta una legge a salvare la privacy”

(L’Unità del 2 luglio 2014)

“Non ho alcuna vocazione al bavaglio che è proprio fuori e lontano anni luce dalla mia cultura. E non è nei miei poteri ordinare alcunché al legislatore. È vero però che il combinato disposto del giornalismo della trascrizione degli atti giudiziari con quello investigativo, nobilissimo e prezioso, negli ultimi anni ha travolto persone inconsapevoli o anche indagate con effetti devastanti”.

Da qualche giorno il nodo intercettazioni viene declinato, in Parlamento e a palazzo Chigi e sui giornali, con il nome di Antonello Soro, medico, ex deputato e capogruppo Pd nominato nella primavera 2013 alla presidenza dell’Autorità Garante della privacy, Incarico nobile e delicato, dice, “perché l’idea di privacy è uno straordinario segnalatore dell’organizzazione sociale e giuridica del nostro tempo”.

Presidente, è colpa o merito suo se al pun­to 10 delle linee guida del governo sulla giustizia si annuncia di mettere mano alle intercettazioni?

“La cosa non sta in questi termini. Nel luglio 2013 abbiamo prescritto alle Procure di adottare obblighi e misure per la protezione delle banche dati. Tra i desti­natari di quelle osservazioni ci sono stati gli uffici di Procura da cui dipendono le sale ascolto, anche affidate a terzi, delle intercettazioni. In quel documento ho chiesto il rafforzamento del livello di si­curezza dei dati e dei sistemi usati per gestirli”.

Le procure hanno eseguito?

“C’è stato un periodo di incomprensioni e inerzia ora risolto dal ministro Orlan­do che ha awiato gli interventi e i tavoli di confronto con i soggetti interessati. Così è stata data una proroga di sei me­si”.

Lei, quindi, non ha mai pensato di interve­nire sulle intercettazioni?

“Nell’ambito delle mie competenze ho richiamato più volte l’attenzione dei va­ri responsabili. È necessaria una premes­sa: considero le intercettazioni uno strumento prezioso che ha consentito negli anni indagini straordinarie pur nella loro gravità. Occorre quindi separare una volta per tutte lo strumento di indagine dalla diffusione dei suoi contenuti e del­ la loro pubblicazione. Le due questioni, se tenute insieme, interdicono a vicenda soluzioni e miglioramenti che sono inve­ce necessari dal lato della pubblicazione nel momento in cui tocca la privacy di una persona anche se indagata. Una so­la misura, intendo il prowedimento di una parte sola, non è sufficiente a risol­ vere un tema così complesso”.

Però ha fatto alcune osservazioni.

“Sono pubbliche e citate nella relazione presentata un mese fa. Dicevo che, secondo i principi del Consiglio d’Europa, è necessaria una specifica e organica disciplina della cronaca giudiziaria con particolare attenzione ai soggetti terzi coinvolti nel procedimento penale ri­spetto a fatti privi di interesse pubblico o attinenti alla sfera più intima delle per­sone”.

Auspicava più disciplina nella divulgazio­ne di dati sulla vita privata?

“Il mio compito è contrastare la pubblicazione di intercettazioni e trovare un bilanciamento tra quattro diritti costituzionali: la sicurezza, quindi il diritto di fare indagini; il diritto di cronaca; il diritto di informazione e la privacy. Occorre evitare che una persona debba soffrire una devastante mortificazione della sua dignità per la diffusione di una notizia quando la stessa notizia aggiunge poco o nulla all’indagine”.

Il suo appello chi era rivolto?

“Sono tre gli attori coinvolti, giornalisti, awocati e magistrati. Ognuno per la sua parte. La proposta era di dare notizia di tutto ciò che avesse rilievo pubblico ma nel rispetto della dignità di ciascuno e togliendo dettagli di vita privata, spesso intimi, per essere più chiari di natura sessuale, ma privi di rilievo investigativo per dare una corretta informazione”.

Per fare questo è necessaria una nuova legge, come propone il governo Renzi? O è sufficiente una serie autoregolamentazione  deontologica?

“Le norme servono. Ma nessuna norma può risolvere un tema così complesso se tutti quanti non fanno, ciascuno, la loro parte. A partire dai giornalisti, visto che il Consiglio nazionale dell’Ordine ha deciso poi di non approvare i contenuti elaborati nell’ambito dei lavori di revisione del codice deontologico”.

In assenza di soluzioni inteme e condivise tra i tre attori è necessaria una norma?

“Se ne discute da anni e adesso il clima politico suggerisce una certa disponibilità e quindi un passo avanti. Ma ripeto: questo è un problema che si risolve se ognuno è convinto di dover fare la sua parte”.

Lei ha un’idea?

“Mi pare che l’ipotesi dell’udienza filtro, già discussa nelle Commissioni giustizia in Parlamento (intercettazioni solo per sintesi e poi, al processo, solo quelle utili a definire il reato, mir), possa essere un utile compromesso”.

Nelle cronache più recenti, a cominciare dal Rubygate, è stata violata la privacy?

“In alcuni momenti sì”.

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