Pubblicità, Facebook esce dal social e sa quel che abbiamo comprato al negozio

La piattaforma di Mark Zuckerberg lancia, per ora solo negli Stati Uniti, un nuovo servizio per gli annunci in partnership con alcuni colossi del data marketing. Gli inserzionisti potranno sfruttare anche le informazioni sulle nostre abitudini e tendenze offline.

(di Simone Cosimi, La Repubblica, 16 aprile 2013)

Giri l’angolo per fare la spesa, vai pazzo per quei biscotti alla cioccolata, li butti nel carrello, paghi alla cassa (magari col Bancomat) e torni a casa. Qualche giorno dopo, spulciando fra chiacchiere e foto degli amici su Facebook, noti un annuncio pubblicitario, spuntato dal nulla, che te ne consiglia la confezione convenienza. Stessi biscotti e dove comprarli. Impossibile, ti dirai: non li ho acquistati online. Sbagliato. Da qualche giorno Facebook, annunciandolo sul suo blog ufficiale, ha lanciato Partner Categories, un nuovo servizio per cercare di monetizzare più e meglio le proprie inserzioni. Come? Ha stretto una partnership, a lungo rodata, con quattro colossi del cosiddetto data marketing: società, cioè, che a vari livelli tracciano le tendenze e gli acquisti dei consumatori (su scala ovviamente aggregata e non individuale, anche se solo loro sanno quanto sia possibile risalire al singolo acquirente) sia online che, ecco la novità, offline.

Acxiom, BlueKai, Datalogix ed Epsilon, queste le sigle coinvolte nel patto a cui potrebbero aggiungersene presto altre, si occupano da decenni, l’ultima addirittura dal 1969, di raccogliere e targettizzare i dati sulle vendite e le transazioni commerciali per aiutare le aziende a raffinare le loro strategie di vendita. Sono colossi che hanno sposato il digitale – anche loro monitorano cosa si compra e vende online – ma che sono nati in era pre-web, dispongono di informazioni storicizzate su acquisti, tendenze, flussi e abitudini nei negozi reali e nelle catene. Lavoro che, fra l’altro, continuano a fare. Un forziere d’informazioni nella quasi totalità generate e raccolte fuori dalla piattaforma californiana e che il social network di Mark Zuckerberg vuole ora sfruttare per rendere i suoi advertising più ritagliati sugli autentici desideri dell’utente e aumentarne dunque l’efficacia. Oltre che il valore in termini di ricavi. Mossa imprescindibile per l’ex enfant prodige sia sotto il profilo finanziario (al Nasdaq c’è sempre da badare a un titolo un po’ bizzoso) che politico, per blindare la propria leadership e, se qualcosa dovesse andare storto, non fare la fine di Steve Jobs.

Clienti giusti, al momento giusto e nel posto giusto, insomma, grazie a un mix, prima impossibile da amalgamare, di informazioni tracciate sia fuori dalla Rete che online (storicizzate, quindi legate al proprio passato di consumatore) a loro volta raffinate dai tradizionali parametri demografici da sempre in uso agli inserzionisti. Non più annunci legati solo a quest’ultimi e agli interessi sfoderati sulla bacheca o distribuendo Mi piace a destra e manca. Piuttosto, un circolo virtuoso per il quale, in definitiva, Facebook esce da Facebook – superando quasi l’utilità, almeno sotto il profilo commerciale, perfino del suo motore di ricerca interno Graph Search – e a sua volta consente alle aziende di trovare davvero chi cercano. Con tutti i rischi per la privacy: “Una concessionaria d’auto locale può adesso mostrare la sua pubblicità alle persone che sembrano orientate ad acquistare una nuova macchina e che vivono vicino all’autosalone”, spiega il colosso di Menlo Park sul blog. Il servizio è disponibile per ora solo negli Stati Uniti e in particolare per chi usa l’applicazione Power Editor, riservata agli utenti che gestiscono una grande mole di pubblicità.

Cinquecento le categorie di consumatori già a disposizione: dagli acquirenti di cereali (per bambini? ad alto contenuto di fibre? da consumare con bevande calde?) agli appassionati di condimenti passando per chi va ghiotto di uova o cerca appunto un nuovo Suv. “C’è un’incredibile opportunità, per chi fa marketing, di fare leva sui dati offline per raggiungere i propri clienti, o potenziali tali, dove e quando sembrano più orientati a fare un certo acquisto” ha dichiarato Eric Stein, vicepresidente esecutivo di Epsilon. Vero. Così come incredibili sembrano le possibili conseguenze sui dati personali, per quanto da Facebook precisino che “gli inserzionisti conoscono solo la grandezza del loro pubblico e non possono accedere ad alcuna informazione individuale inclusa in una delle categorie”.

Rischi a parte, in Italia sarebbero possibili sinergie così invasive? “Abbiamo un ordinamento molto più rigoroso – commenta Antonello Soro, presidente dell’autorità Garante per la protezione dei dati personali – così come in Europa. Regolamenti e codici che prevedono consenso informato, controllo e tempi certi di conservazione per qualsiasi attività di raccolta e profilazione. Ed entro l’anno dovrebbe anche arrivare il nuovo regolamento europeo. Al di là di qualsiasi patto o acquisizione successiva, il problema dei grandi player web, dai motori di ricerca alle piattaforme social e di commercio elettronico, nasce fin dalla iniziale registrazione dei gusti e delle preferenze degli utenti e dei contenuti da loro pubblicati. L’incrocio fra dati online e offline è un passo successivo che non modifica il problema, semmai lo rende più complesso”. Non a caso il Garante italiano ha di recente ha aperto un’istruttoria, distinta ma coordinata con quelle di altre cinque autorità europee, contro le policy di un altro gigante della Rete, Google, in particolare sulla condivisione dei dati fra i vari servizi offerti da Mountain View ai suoi utenti: “Rispetto agli Usa, che inseriscono la tutela dei dati personali fra i diritti dei consumatori – conclude Soro – da noi la privacy rientra fra i diritti fondamentali della persona”.

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