Soro, risparmiatori garantiti da sistema e non da governo

Quarta Fase, 02/04/2009
No a controlli sovietici sulle banche

Siamo a sei mesi dall’inizio della crisi, il Presidente del Consiglio dice che è stato il primo, tra i capi di governo d’Europa, a garantire banche e risparmiatori.
Ad annunciarlo. Perché sugli annunci non lo batte nessuno. Il tempismo è tutto suo. Ma un conto sono gli annunci un altro sono le cose reali. E la realtà delle cose è che i risparmiatori italiani non sono stati e non sono garantiti dal governo ma da un sistema bancario che, piaccia o non piaccia, si sta rivelando tra i più sani dell’occidente.
In che senso piaccia o non piaccia?
Nel senso che forse nel governo qualcuno avrebbe anche preferito il tanto peggio tanto meglio, l’instabilità alla stabilità, le perdite al posto degli utili, pur di poter mettere finalmente le mani sul sistema bancario. E invece ancora una volta nelle scorse settimane con la presentazione dei risultati annuali si è visto che mentre nel resto d’Europa le banche dichiarano perdite miliardarie da noi c’è tutta un’altra solidità. Questo per il nostro Paese non è un peso ma una risorsa. Se ad oggi non ci sono stati salvataggi da parte dello Stato, quanti miliardi sono stati risparmiati dai contribuenti? Addirittura la Spagna, che sembrava avere un sistema finanziario modello oggi piange il salvataggio della Cassa di Risparmio della Castiglia, 9 miliardi di euro. E forse non è che il primo di una lunga serie di salvataggi… Per avere un’idea dello sforzo economico è più di quanto occorre per assicurare la cassa integrazione per 12 mesi a 800.000 disoccupati.

E i Tremonti Bond?
Ma quella è tutta un’altra cosa. Quella non è spesa dello stato. E un prestito. Non servono a ripianare perdite servono a ripatrimonializzare attivi. Sono un sollievo non una medicina. Non siamo contrari ma ci preoccupa tutto il contorno di misure previste dai decreti legge cosiddetti “anticrisi”. L’idea di mettere le banche sotto controllo è la cosa più inquietante dal punto di vista funzionale e morale. Penso all’idea sovietica di condizionare le decisioni delle banche su chi come e quanto finanziare; penso al disegno di coinvolgere i prefetti nelle decisioni riguardanti il merito del credito. Una posizione su cui si è espresso con parole nette anche il Governatore della Banca d’Italia nella sua audizione alla Camera dei Deputati.

Vi schierate con il Governatore contro il titolare del tesoro quindi
Qui non è questione di tifo è questione di buon senso. Se il sistema bancario italiano non ha i titoli tossici che hanno infestato gli altri sistemi non è merito del governo, semmai è merito del governatore della Banca d’Italia e di tutte quelle leggi, dalla legge Amato alla Legge Ciampi che ne hanno negli anni disegnato la struttura. Non mi pare che siano ascrivibili né a Tremonti né a Berlusconi. Anzi a loro è ascrivibile un’altra legge quella sulla depenalizzazione del falso in bilancio. Ecco, se c’è una cosa che questa crisi insegna è proprio che i bilanci sono stati falsificati e contraffati con estrema leggerezza e disinvoltura. La stessa leggerezza e disinvoltura che costituiscono lo spirito della legge sul falso in bilancio. La cultura di governo della coppia Berlusconi Tremonti è pienamente dentro la crisi, l’anticipa e la spiega. Loro sono quelli del falso in bilancio, quelli della finanza creativa, quelli delle cartolarizzazioni. Come è possibile pensare che coloro la cui cultura ha generato la crisi possano creare le condizioni di un suo superamento. L’America degli anni ’30 fu risanata dal Presidente Roosvelt non dal Presidente Hoover.

Però i sentimenti popolari sembrano andare più contro i banchieri che contro il governo. Anche il presidente di Mediolanum, Ennio Doris a Domenica In ha espresso comprensione per la rabbia montante contro i banchieri.
Fa sorridere che ad assecondare i bassi istinti che circolano in Europa in queste settimane sia il titolare di un istituto di credito che aveva in pancia molte obbligazioni Lehman. Ma lasciamo stare. Una precisazione: questo vento che circola in Europa dove il sequestro dei manager è diventato una forma evoluta di “lotta di classe” non è un bel segno. Sembra piuttosto l’espressione di una pericolosa deriva populista, il segno di una profonda sfiducia nei canali ordinari della mediazione sindacale e politica. Stiamo attenti: la storia insegna che a Masaniello segue la restaurazione di un potere ancora più coercitivo e ancora più autoritario.

Ma effettivamente c’è in giro la domanda del ritorno dello Stato. Voi come rispondete.
Restiamo sempre sul sistema bancario. Le do due flash. Estate 2005, Governo Berlusconi (Governatore Fazio): la finanza italiana conosce facce nuove, da Giampiero Fiorani, amico della Lega, ai furbetti del quartierino. Ci sono scalate, contro scalate, un sacco di movimenti. Morale: il sistema bancario perde due gioielli. BNL va ai francesi di Paribas, Antonveneta agli olandesi di ABN Amro. Questo è il bilancio di cinque anni di governo Berlusconi. E dimenticavo il fallimento di Credieuronord, la banca della Lega. Che lezione se ne trae? Quando nella governance delle banche entrano i partiti, le banche vanno a gambe per aria. Non è un’interpretazione. È un fatto. Noi certo che siamo per uno stato forte e non per uno stato debole. Ma lo stato per noi significa leggi non significa nomine. Le do un secondo flash. 2006 -2008 Governo Prodi, Governatore Draghi. In meno di due anni cinque operazioni importanti: fusione Intesa San Paolo, nasce la più grande banca italiana, fusione UBI Banca, fusione Banco popolare, Unicredit acquisisce Banca di Roma, Il Monte Paschi ricompra dagli spagnoli l’Antonveneta. Una classe dirigente degna di questo nome lavora per un sistema creditizio forte non per un sistema creditizio proprio. Così si serve il paese e si rafforzano le istituzioni, anche quelle bancarie. Se lo stato non è dovuto intervenire fino ad ora per salvare nessuno è anche grazie al fatto che in due anni sono avvenute queste fusioni che hanno rafforzato il sistema. Se non ci fosse stato il Banco Popolare per esempio, Italease, altra creatura del quinquennio berlusconiano (si quota in borsa nell’estate del 2005) sarebbe fallita e a rimetterci sarebbero stati i contribuenti. Ma queste cose gli statalisti di nuovo conio non le dicono. Quando c’era da fare le regole giuste non le hanno fatte. Ora per rivincita vogliono fare le nomine. Ma noi cercheremo di impedirglielo.

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