Obama e noi

Roma, 06/11/2008

 

Ha votato per Obama l’America che pensa di avere un grande futuro davanti a sé e non alle proprie spalle, ha votato per Obama l’America che ha la testa e il cuore nel XXI secolo e non la memoria e la nostalgia del XX.

La vittoria del Senatore dell’Illinois segna una svolta epocale. E’ innanzitutto una vittoria dell’America e degli americani, ma ancora di più è una vittoria dei democratici americani. E’ evidente che noi, democratici italiani, viviamo questa vicenda con speciale coinvolgimento e con straordinaria partecipazione. Queste sono infatti le prime elezioni negli Stati Uniti cui dall’Italia possiamo guardare attraverso la nuova lente del Partito Democratico. In questo senso le elezioni americane del 2008 ci appartengono come non mai.

Fare parallelismi tra Italia e America non è tuttavia una cosa semplice, differenti i ruoli dei due Paesi, differenti i sistemi politici; eppure questa straordinaria campagna elettorale americana offre alcune importanti indicazioni anche alla nostra vita politica.

Avendo battuto Hillary Clinton, la candidata in pectore già dal 2000, dal giorno della sconfitta di Al Gore, Obama ha vinto la nostalgia democratica per gli anni ’90. Non è per caso infatti che solo Obama ha potuto segnare con la parola “change” la sua campagna elettorale, mentre la Clinton si è richiamata spesso al concetto di “experience” laddove per esperienza si intende quella compiuta al governo degli Stati Uniti negli anni ’90. Il radicamento in un’esperienza pur non negativa come quella della Presidenza Clinton non ha tuttavia permesso di capire che il mondo era cambiato e che c’era una nuova domanda di valori e di senso. Obama è stato invece capace di una nuova narrazione, di una profonda ridefinizione dell’agenda politica e valoriale del paese, è stato per davvero in grado di formulare quello che noi democratici, alla scuola di Cortona, abbiamo chiamato “nuovo umanesimo”. E’ l’umanesimo ispirato dal principio speranza contro il conservatorismo fondato sul principio paura. E’ l’umanesimo fondato sul noi opposto al conservatorismo fondato sull’io.

Obama ha capito prima degli altri che occorreva un’idea positiva e progressiva di comunità e che il collante della sicurezza nazionale unito al mito individualistico della deregulation non potevano più durare. Se la Presidenza Bush è stata socialmente divisiva, ed oggi constatiamo anche economicamente regressiva, Obama ha saputo giocare, sin dal suo primo discorso dopo le primarie nell’Iowa, la difficile partita dell’unità nazionale: “no red states, no blue stat, but one nation”.

Il senso di quel discorso come di tutta la sua campagna elettorale è stato quello di far ritrovare all’America lo spirito della frontiera, della conquista collettiva, l’idea che il sogno americano non fosse finito ma fosse ancora possibile ma con tutt’altra mission. Mc Cain, per quanto avesse voluto distinguersi da Bush non poteva per biografia personale smarcarsi molto dall’impronta dell’eroe di guerra che identifica nella sicurezza e nelle missioni militari la mission degli USA anche nel XXI secolo. Obama ha saputo cogliere dunque la novità della domanda di comunità e di politica che veniva dalla società americana. Ha vinto contro tutte le nostalgie, per questo sarà il primo vero Presidente americano del XXI secolo. Una sfida da cogliere con la massima serietà, anche per i democratici italiani.

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