Qualità, riforme, sviluppo rurale: tre sfide per l’agroalimentare

Cagliari, 11 Aprile 2005

 

Il futuro dell’agroalimentare incrocia, in misura sempre più evidente, quello della nostra società: non solo in Sardegna ma, direi senza enfasi, nel mondo.
La liberalizzazione degli scambi, l’incremento della domanda alimentare nei paesi in sviluppo, i nuovi equilibri demografici spingeranno verso un aumento consistente della domanda globale di alimenti e apriranno la strada a nuovi protagonisti del commercio mondiale. Questa tendenza avrà un impatto eccezionale sulla questione ambientale, sul ciclo delle acque, sulla ricerca scientifica nel campo delle biotecnologie e concorrerà a modificare la configurazione dell’economia planetaria.
Siamo dentro una fase di grandi incertezze e di grandi conflitti. I temi delle politiche di protezione, OGM, denominazioni tutelate, nuove forme e nuovi limiti agli aiuti di Stato interrogano e dividono i governi.
In questo quadro i risultati dell’annata agraria 2004 evidenziano uno scenario per l’agroalimentare italiano denso di preoccupazioni.
L’Italia ha ridotto, anche in questo comparto, la sua dimensione operativa internazionale.
Due soli dati per chiarire i termini della questione.
La quota delle esportazioni italiane nel commercio mondiale in 8 anni è scesa dal 4,5 al 3,5%. Nello stesso arco di tempo la Francia si è mantenuta costante, la Germania ha incrementato di 2 punti le esportazioni.
In 5 anni sono passate in mani straniere seicento imprese nazionali.
Di per se questo dato non è negativo perché un paese è competitivo non solo se sa vendere i suoi prodotti nel mondo ma anche se è capace di fare imprese all’estero e attrarre investimenti dall’estero.
Ma purtroppo per noi il flusso è stato in questi ultimi anni in una sola direzione.
Abbiamo progressivamente perso posizione sui mercati che altri hanno saputo conquistare
E’ noto che i prodotti italiani soffrono l’accresciuta concorrenza di paesi terzi nuovi esportatori e per converso, come era prevedibile, si riduce il mercato interno per effetto di una palese contrazione del potere d’acquisto delle persone.
I consumi alimentari sono diminuiti, nel 2004, del 2.5% in quantità ,dell’1% in valore, a causa dell’aumento dei prezzi al consumo.
Dire che non va bene sarebbe un eufemismo. Esiste quindi un bisogno ineludibile di cambiare politica, di arrestare il declino.
L’agroalimentare sardo vive dentro questo quadro e dentro questi orizzonti.
Noi dobbiamo governare scelte di politica generale, di riforma degli enti strumentali, di orientamento delle risorse per uscire dalla crisi e guadagnare una prospettiva positiva.
La nostra agricoltura ha enormi potenzialità che sta a tutti noi trasformare in occasioni di successo competitivo.
Gli esperti sostengono che abbiamo punti di forza e di debolezza e che dal loro intreccio, dal prevalere degli uni sugli altri, discende il futuro della nostra economia :capacità competitiva piuttosto che arretratezza.
Tra i punti di debolezza la ridotta dimensione aziendale, il lento ricambio generazionale, l’assenza di economia di rete, la frammentazione degli enti strumentali della Regione, segnati da un eccesso di centri decisionali e da un tasso di produttività inadeguato rispetto agli obiettivi.
In questo senso va accolta come segno di svolta la finanziaria approvata in questi giorni in Consiglio regionale.
Tra i punti di forza la presenza diffusa nel territorio di imprese familiari, il valore di produzioni identitarie, lo stretto legame delle produzioni tipiche con il sistema territoriale, un’importate esperienza di ricerca nelle università e negli istituti promossi dalla Regione.
Tuttavia deve essere chiaro che non esiste una soluzione banale per i nostri problemi.
Per questo occorre un momento di riflessione seria, rigorosa, che esca dalle stanze degli Assessorati e impegni la politica.
Abbiamo detto in altre occasioni che la nostra isola deve puntare su un modello di economia in grado di valorizzare la diversità; che dobbiamo puntare sulla qualità, sullo specifico dei nostri prodotti, sulla tipicità di origine delle produzioni.
Non si parte da zero, perché in questi ultimi anni si sono affermate alcune positive realtà.

Nel settore vitivinicolo, con il successo di alcune esperienze ma soprattutto con la competizione emulativa che va diffondendosi in tutta la regione;

nell’ovicaprino, sospeso tra la crisi del mercato e il consolidarsi di una struttura di trasformazione e di commercializzazione che apre nuove strade, nuove possibilità;

nel comparto lattiero caseario vaccino, che assume sempre più il profilo di moderna impresa competitiva, con insediamento regionale;

la produzione biologica nel settore ortofrutticolo e non solo.

Nuove sfide attendono ora il comparto agroalimentare in Sardegna.
E prima di ogni altra cosa va rafforzato il legame tra agricoltura e territorio, quale fattore decisivo per contrastare i processi di emarginazione delle campagne.
Lo spopolamento della Sardegna Centrale e in particolare il declino dei piccoli comuni costituisce il punto più acuto della crisi sarda.
Il declino e la progressiva scomparsa delle piccole comunità dell’interno consumano e cancellano ogni giorno i segni della nostra storia millenaria, i suoni della lingua, le tradizioni, le feste, la musica e i canti ma anche i prodotti dell’artigianato, i sapori della cucina.
Insomma si perde ogni giorno un po’ della nostra cultura e della nostra identità.
Per questo abbiamo posto al centro del nostro programma di governo il riequilibrio del territorio fondato sullo sviluppo locale.
La presenza, nelle aree rurali, di attività agricole che hanno il territorio come matrice comune costituisce un importate elemento di aggregazione e di attrazione che è alla base di questo modello.
Si profila all’orizzonte una nuova visione dell’agricoltura capace di intrecciare funzioni produttive di protezione e riproduzione delle risorse naturali, occupazione e sviluppo equilibrato del territorio, coesione sociale e sviluppo delle imprese.
Le opportunità economiche legate all’utilizzo del territorio si fondono con il contributo dell’agricoltura al benessere sociale nella sua accezione più ampia: qualità della vita, biodiversità, ambiente, paesaggio, economia turistica.
La qualità è l’altra grande sfida cui tutti siamo chiamati.
Nelle attese del consumatore emergono in misura crescente i valori della qualità, della diversificazione, della salute e della sicurezza, del maggior benessere, della maggiore attenzione al cibo come gratificazione: nuovi stili di vita che hanno profondamente modificato la gerarchia dei consumi.
E’ interesse di tutti centrare la nostra politica su questa nuova domanda con un’offerta differenziata, con alto contenuto di tradizione e di identità, sicurezza alimentare, tutela della biodiversità, recupero e salvaguardia di varietà tradizionali che rischiano, per difficoltà produttive o di mercato, di scomparire. E ancora tutela dell’ambiente, innovazione nelle tecniche produttive orientate, tra l’altro, ad un più razionale uso della chimica.
Dovrebbe essere interesse di tutti, su questa domanda costruire e sostenere i comportamenti virtuosi degli imprenditori, agricoltori, industrie di trasformazione e distribuzione; orientare la ricerca e l’offerta di innovazione.
Perché la qualità è strategia vincente solo se si combina con l’innovazione, con una seria politica di comunicazione, con una organizzazione efficiente e moderna, con una conoscenza puntuale della domanda e dei mercati.
Appare sempre più chiaro che solo attraverso l’innovazione è possibile contrastare efficacemente i tentativi di imitazione, recuperare i margini di competitività, ottenere una differenziazione di prezzo ed un maggior reddito per i produttori.
Esiste un principio generale al quale dobbiamo informarci: la base del progresso nel nostro tempo è l’innovazione continua. Il cambiamento è un processo privo di soste e l’innovazione deve essere di grande qualità e riconoscibilità, nel nome di un unico marchio regionale, legato a disciplinari di produzione ecosostenibile, monitorati da un credibile sistema di controllo.
L’interrogativo al quale dobbiamo rispondere è questo: possiamo farcela, può farcela la Sardegna? Ma in fondo può farcela l’Italia?
Noi abbiamo la consapevolezza di quanto siano ambiziosi questi obiettivi.
Sappiamo che non sarà facile e che per riuscirci dovremo mettere in campo uno sforzo straordinario di coesione politica e di partecipazione sociale.
Questo incontro vuole rappresentare un contributo in questa direzione.

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